LE CARENZE INFORMATIVE DELLA BANCA NON TROVANO ATTENUAZIONI

29/04/20

La Suprema Corte con ordinanza n. 8212 del 27 aprile 2020 ha respinto il ricorso della Banca intermediaria nel collocamento dei Bond argentini, finiti poi in default.

La vicenda giudiziaria nasce dalla citazione in giudizio dei risparmiatori per operazioni di acquisto effettuate nel 1997 e nel 2000.

La corte d’appello aveva dato ragione solo parzialmente ai risparmiatori,  dichiarando “non grave” l’inadempimento informativo relativo alla prima operazione con la motivazione che gli investitori a tre anni di distanza avevano di nuovo acquistato titoli della stessa specie.

La cassazione, invece, riforma la decisione muovendo dalla applicazione dell’art.23, comma 6, del TUF, che prevede un’ inversione dell’onere della prova in favore del cliente stabilendo che ” nei giudizi di risarcimento danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”.

Nel giudizio risarcitorio, quindi, è la banca che ha l’onere di provare: a) di aver adeguatamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione o del servizio;

b) l’adeguatezza dell’operazione rispetto ad esperienza, obiettivi di investimento, situazione finanziaria e propensione al rischio del cliente.

Secondo la Cassazione, invece, “non può farsi discendere dal successivo acquisto delle obbligazioni argentine, avvenuto diversi anni dopo la prima operazione, la mancanza di gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c in relazione al primo negozio, a fronte della accertata violazione degli obblighi di informazione e di valutazione di adeguatezza dell’operazione rispetto al profilo ed agli obiettivi degli investitori”.

In altre parole, prosegue la decisione, “non può inferirsi la non scarsa importanza dell’inadempimento dell’intermediario dal solo fatto che il cliente abbia nuovamente acquistato obbligazioni argentine a distanza di alcuni anni”. Mentre il fatto che nel 1997 le indiscrezioni sul possibile default dell’Argentina non fossero ancora diffuse “non attenua la violazione del dovere di informazione in capo alla banca che ha, in ogni caso, omesso di dare un’informazione completa sul prodotto finanziario e di valutarne l’adeguatezza rispetto al profilo dei clienti”.

La pronuncia della Corte si sofferma anche sulle circostanze sintomatiche che, secondo la difesa della banca,  possono dimostrare una sufficiente esperienza e conoscenza  in materia di investimenti,  riducendo gli obblighi informativi e le responsabilità.

Scrive la Corte, in proposito, che “Appare del tutto irrilevante  il fatto che uno dei clienti fosse dipendente di banca, posto che tale qualifica non implica una particolare conoscenza del mercato e dei prodotti finanziari”. “Né – aggiunge la Corte – l’esperienza dei clienti poteva fondarsi sul pregresso acquisto del medesimo titolo nel 1997”. Nessuna efficacia sanante rispetto alle carenze informative – prima fra tutte la mancata indicazione del rating: “elemento basilare di ogni investimento in prodotti finanziari” – può derivare dunque dall’aver semplicemente ripetuto un investimento già fatto in precedenza.

La successiva condotta dei clienti, conclude la Corte, “non appare dunque in alcun modo idonea ad incidere retrospettivamente sulla valutazione del comportamento tenuto dalla banca e sulla gravità del suo pacifico inadempimento”.

La sentenza della Cassazione si pone in linea con l’orientamento che vuole la tutela dei diritti dei diritti dei risparmiatori al centro della disciplina degli obblighi informativi gravanti sugli intermediari.

Benchè la vicenda finanziaria dei bond argentinA, dopo circa venti anni dalla crisi, è passata alla storia, gli orientamenti e i principi generati dal contenzioso sono più che mai attuali e concreti nelle numerose vicende di risparmio tradito.

Link e Documenti:
Corte di Cassazione Sez.1 civ. ordinanza n. 8212 del 27 aprile 2020 

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