La Corte di appello di Firenze ha emesso una sentenza che riconosce il danno subito da Banco Bpm nei confronti di una donna che aveva acquistato diamanti come investimento. La sentenza, resa pubblica il 16 maggio scorso, riguarda un altro caso di diamanti acquistati a prezzi notevolmente superiori al loro valore di mercato, nonostante fosse chiaro che le cifre fossero gonfiate.
IL CASO E LA DECISIONE
La cliente aveva acquistato due diamanti al prezzo di 49.000 euro, sebbene il loro valore reale fosse di soli 19.000 euro. Tuttavia, nel primo grado di giudizio, il tribunale di Lucca aveva male interpretato la domanda giudiziale e non aveva accolto le richieste della donna.
La sentenza del tribunale lucchese è stata prontamente appellata con l’assistenza del nostro ufficio legale. L’avvocato Francesco Giordano ha portato il caso alla Corte di Firenze. Con la Sentenza n. 1035/2023, pubblicata il 16 maggio 2023, la Corte ha corretto la sentenza di primo grado e affermato il pieno diritto della donna a essere integralmente risarcita.
Nella sentenza si legge: “Ebbene, i predetti profili di scorrettezza della condotta di Bpm, rilevati in via generale dall’Autorità di vigilanza, sono puntualmente ravvisabili nel caso di specie, poiché l’operazione di investimento in diamanti era stata segnalata alla donna dai funzionari della filiale presentandola come un’opportunità di investimento in un bene rifugio, il cui obiettivo era quello di tutelare il potere di acquisto della somma utilizzata, con la promessa di un facile disinvestimento e di rendimenti costanti e sicuri”. Durante il processo, alla donna era stato mostrato del materiale illustrativo contenente dati finanziari, inclusa la “quotazione diamanti e andamento inflazione”, accompagnato da immagini tratte da riviste tematiche e finanziarie, presentate come quotazioni di mercato, al fine di rassicurare il cliente e convincerlo a perfezionare l’investimento.
L’operazione era stata conclusa presso le sedi di Banco Bpm, che si era anche occupata della custodia dei diamanti. La sentenza prosegue: “Il corrispettivo richiesto da Idb (International diamond business) per il tramite della banca e pagato dalla donna era più del doppio del valore reale delle gemme indicato nel listino ufficiale”. Pertanto, secondo i giudici, Banco Bpm non ha svolto un mero ruolo di “segnalatore”, che sarebbe stato sufficiente a esporre l’istituto a responsabilità, poiché il soggetto “segnalato” non era un operatore economico affidabile, “ma ha svolto un ruolo propositivo e determinante per la conclusione dell’affare con Idb, tradendo la fiducia di cui godeva nel rapporto stabilito.